Le conoscenze archeologiche del bacino termale euganeo restano ancor oggi alquanto lacunose, in quanto esito per lo più di interventi occasionali, realizzati in rapporto a un’espansione edilizia disordinata e talora anche irrispettosa, che ha conosciuto soprattutto nel corso del secondo dopoguerra una vera e propria esplosione ai fini dello sfruttamento delle risorse idroterapeutiche dell’area. Gli interventi di scavo, come del resto anche i tentativi di sintesi interpretativa, sono stati comunque numerosi nel corso dei secoli, inevitabilmente condizionati nelle metodologie adottate dalla temperie culturale in cui vennero condotti.
Nell’Ottocento, spostatisi gli interessi degli studiosi verso Este, a seguito delle importanti scoperte delle necropoli, nell’area i rinvenimenti furono per lo più casuali e correlati a lavori edilizi. Fra questi, si distingue in particolare il santuario emerso nell’area tra il Monte Castello e il Colle di S. Pietro in Montagnon.
Nel Novecento i rinvenimenti si intensificarono, ma restarono per lo più inquadrabili nell’ambito di lavori occasionali, poco attenti alla ricostruzione storica dell’area, anche se negli anni ’50 si avviarono alcuni scavi programmati (e in particolare quelli nell’odierna area archeologica di via degli Scavi) e alcuni tentativi di sintesi interpretativa, quali i lavori di Luciano Lazzaro.
Il XVIII secolo
Già negli studi antiquari fra Quattro e Seicento, come quelli dell’Ongarello, del Pignoria e dell’Orsato relativi a Padova e al suo territorio, si trovano notizie archeologiche sul bacino euganeo. Tuttavia un vero e proprio interesse scientifico per la ricostruzione del passato di quest’area nacque nel XVIII secolo e in particolare nel 1769, quando presso l’Università di Padova venne istituita un’apposita cattedra indirizzata all’indagine storica del comprensorio. L’iniziativa si inserì nell’ambito di un rinnovato interesse per gli aspetti medici e terapeutici del termalismo euganeo che investì tutto il Settecento e che portò all’edizione di importanti trattati, come quelli dei medici e scienziati padovani Domenico Vandelli (1761) e Salvatore Mandruzzato (1789-1804).
Tavola di Montegrotto Terme con i rinvenimenti archeologici edita in MANDRUZZATO 1789-1804, III
(Biblioteca Civica di Padova, BP 581, su gentile concessione del Comune di Padova – Assessorato alla Cultura)
È in particolare l’opera in tre volumi di quest’ultimo che risulta ancor oggi di grande interesse per gli studi storici del bacino euganeo, in quanto vi sono sintetizzate le informazioni in merito alle scoperte archeologiche fino a quel momento realizzate nell’area. Per quanto riguarda Montegrotto Terme, i dati risultano anche visualizzati in una mappa e in un disegno di dettaglio compresi nel III volume. La mappa riproduce il territorio della cittadina nella sua conformazione fisica e agraria, localizzando i rinvenimenti archeologici noti e completandoli con i disegni di taluni elementi statuari, un frammento musivo e alcune fistule plumbee bollate portati alla luce con gli scavi del marchese Giovanni Antonio Dondi dell’Orologio nelle proprietà della famiglia e in particolare nell’area ai piedi del Colle Bortolone.
Le indagini del Dondi dell’Orologio a Montegrotto erano state stimolate dai casuali rinvenimenti di “tegole con la marca di figlina”, elementi architettonici e anche di una statua marmorea perfettamente integra, di cui resta una nota a stampa in un volumetto del “colto bibliotecario veneto” Girolamo Zanetti che vi riconosceva Esculapio (1766). Sulla base di tale attribuzione vennero allora interpretate come un edificio cultuale dedicato alla divinità le strutture venute alla luce nel 1780 nell’ambito di un ampliamento degli scavi del Dondi dell’Orologio sulla sommità del Colle Bortolone: di tale rinvenimento resta una planimetria anonima del 1780 conservata nella Biblioteca Civica di Padova (RIP XXIX, 5220).
Le osservazioni archeologiche del Mandruzzato sull’area termale euganea trovano integrazione in quegli anni anche nel secondo volume dell’opera di Jacopo Filiasi (1794-1796), che recupera pure i dati delle fonti letterarie in merito, tuttavia spesso scadendo in letture filologicamente poco corrette e in interpretazioni fantasiose.
Il XIX secolo
Per tutto l’Ottocento e anche parte del Novecento il fervore degli studi sul comprensorio termale euganeo conobbe una notevole battuta d’arresto rispetto al secolo precedente. I rinvenimenti archeologici a seguito di lavori edili o agricoli furono numerosi, ma caratterizzati dalla casualità e spesso anche dalla clandestinità e dunque noti per lo più attraverso informazioni lacunose e parziali. Nel territorio comunale di Montegrotto Terme abbiamo notizia, ad esempio, del rinvenimento nel 1827 da parte della “Commissione austriaca per i monumenti antichi della zona termale” di pavimenti musivi probabilmente pertinenti a un edificio abitativo nel fondo Trieste (rilevati dal Candeo in una tavola conservata nella Biblioteca Civica di Padova, ove sono disegnati assieme anche altre strutture emerse in quegli anni: RIP XXIX, 5221) e nel 1863 di due vasche-piscine nella proprietà di Alessandro Sette (rilevate in pianta e in sezione dall’ing. Giuseppe Monti in due tavole conservate nella Biblioteca Civica di Padova: RIP XXIX, 5218 e 5219). Per quanto riguarda poi il Comune di Abano Terme, un’importante sintesi dei rinvenimenti ottocenteschi venne offerta in un lavoro di Luigi Busato (1881), il quale costituisce un punto fermo nella storia degli studi aponensi, per quanto un poco distorto da un eccessivo spirito campanilistico.
L’assenza in quel periodo storico di scavi programmati nel bacino termale si motiva considerando come in quegli anni gli interessi antichistici si fossero decisamente spostati verso Este, ove nella seconda metà del secolo XIX i rinvenimenti di necropoli venete con ricchissimi corredi si erano susseguiti con grande rapidità, grazie all’appassionato impegno di studiosi quali Alessandro Prosdocimi e Gherardo Ghirardini e all’intelligente lavoro sul campo di Alfonso Alfonsi. Inoltre, a fine Ottocento l’attenzione degli studiosi era stata attratta dall’identificazione in area di insediamenti preistorici, quali erano venuti emergendo in particolare a Lozzo Atestino, Arquà Petrarca e Marendole, con gli scavi sistematici condotti dall’ingegner Federico Cordenons.
Questi riportò l’attenzione sull’“aponense, che, quantunque non possa minimamente rivaleggiare per varietà e tanto meno per ricchezza coll’atestino, ha però anch’esso la sua importanza, non foss’altro pel suo carattere votivo”. Nel 1897, nel numero XXIII del “Bollettino di Paletnologia Italiana”, il Cordenons diede in effetti notizia di quello che era stato forse il più significativo dei rinvenimenti casuali in area, ovvero la scoperta avvenuta attorno al 1872 in un terreno di proprietà privata di un tal Pietro Scapin, ubicato nell’area tra il Monte Castello e il Colle di San Pietro Montagnon, presso l’odierno Hotel Terme Preistoriche, di “una vera stipe votiva” con materiali fittili e bronzei. A seguito di indagini mirate condotte dallo stesso Cordenons nel 1892 e dal Pellegrini e dall’Alfonsi nel 1911 si capì il carattere sacrale dell’area, riconosciuta come un santuario sviluppato attorno a una sorgente termale.
Il XX secolo
Tutta una serie di altre scoperte occasionali, avvenute principalmente in relazione ai numerosi interventi edilizi mirati all’apertura di nuovi stabilimenti terapeutici, va registrata nel comprensorio termale euganeo nel Novecento, quando tuttavia si avviano anche mirate attività di indagine, ai fini della comprensione e insieme della valorizzazione dell’area. Fra i rinvenimenti casuali, a Montegrotto Terme si possono citare quelli di una lussuosa villa romana portata alla luce nel 1931 e nel 1970 presso via San Mauro e di un altro edificio probabilmente a valenza residenziale emerso nel 1948 sul Colle di San Pietro Montagnon durante la costruzione della chiesa parrocchiale. Per quanto riguarda, invece, Abano Terme, va ricordato il deposito di pregiati vasi di ceramica rinvenuto nel 1951 durante lavori edili per la costruzione dell’Hotel Due Torri-Morosini poco distante dal Colle Montirone.
Alla metà del Novecento videro la luce anche due lavori di sintesi sulle antichità del bacino termale aponense: un testo di carattere divulgativo di Cesira Gasparotto (1954) e un volumetto di carattere generale sulla storia in particolare di Montegrotto Terme, opera di Galliano Miglioraro, che della cittadina era stato precedentemente sindaco (1956): quest’ultimo lavoro, per quanto poco criticamente approfondito, comprende due planimetrie di un certo interesse, in quanto costituiscono una sorta di carta archeologica riassuntiva dei dati noti fino a quel momento.
Tutte le informazioni raccolte in questi e nei precedenti lavori vennero riprese e puntualizzate in alcuni lavori di Luciano Lazzaro, che a questa zona in cui era nato e in cui viveva dedicò gran parte della sua energica e appassionata attività di studioso.
Dall’analisi del Lazzaro resta inevitabilmente escluso un sito di grande interesse, che fu individuato a Montegrotto in via Neroniana pochi anni più tardi, in occasione di un intervento casuale di scasso e in seguito oggetto di varie campagne di scavo. Di questo importante rinvenimento venne data una prima notizia in un volume promosso e curato nel 1997 dalla stessa Soprintendenza, il quale offre la più recente delle varie sintesi archeologiche proposte per il comprensorio termale aponense, a partire, come si è visto, dal XVIII secolo (Delle antiche terme 1997).